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	MAGGIO 2021
31 
	MAGGIO 2021
di Maria Anna Avveduto
	DANTE ALIGHIERI
	700 anni dalla scomparsa del sommo 
	poeta Dante Alighieri
	
	
	Siamo nel 2021 e ricorre il settecentesimo anno di anniversario della morte 
	del sommo poeta.
	Battezzato con il nome di Durante di Alighiero degli Alighieri ma a tutti 
	noi noto come Dante Alighieri, nacque a Firenze tra il 21 maggio e il 21 
	giugno del 1265 (non si conosce esattamente la data di nascita) e morì nella 
	notte tra il 13 e il 14 settembre 1321, oggi sono settecento anni dalla 
	morte come dicevamo prima.
	Poeta, scrittore ma anche politico, considerato il padre della lingua 
	italiana.
	E' conosciuto in tutto il mondo come autore dell'opera più famosa in 
	assoluto, la "Divina Commedia".
	Espressione della cultura medievale, filtrata attraverso la lirica del Dolce 
	stil novo, la "Divina Commedia" è anche veicolo allegorico della salvezza 
	umana, che si concreta nel toccare i drammi dei dannati, le pene 
	purgatoriali e le glorie celesti, permettendo a Dante di offrire al lettore 
	uno spaccato di morale ed etica.
	Non si sa con certezza la data di nascita e l'anno di nascita dello stesso è 
	stato dedotto da alcuni studiosi analizzando alcune allusioni 
	autobiografiche scritte nella "Vita Nova" e nella cantica dell'Inferno che 
	comincia con il celeberrimo verso «Nel mezzo del cammin di nostra vita» e 
	visto che la metà della vita dell'uomo è per Dante il trentacinquesimo anno 
	di vita ed il viaggio immaginario dell'opera avviene nel 1300, si 
	risalirebbe così all'anno 1265.
	Lo storico Giovanni Villani nella sua opera "Nova Cronica" riporta «questo 
	Dante morì in esilio del comune di Firenze in età di circa 56 anni», una 
	prova che confermerebbe tali studi.
	Inoltre alcuni versi del Paradiso della "Divina Commedia" ci indicano che 
	egli nacque sotto il segno dei Gemelli e quindi nel periodo compreso fra il 
	21 maggio e il 21 giugno.
	Il sommo poeta inoltre è stato battezzato il il 27 marzo 1266 e quel giorno 
	vennero portati alla fonte tutti i nati di quell'anno, e quindi sembra 
	riconducibile anche l'anno di nascita.
	Dante apparteneva alla famiglia degli Alighieri.
	Una famiglia di secondaria importanza all'interno dell'élite sociale 
	fiorentina ma con una certa agiatezza economica.
	Benché Dante affermi che la sua famiglia discendesse dagli antichi Romani, 
	il parente più lontano di cui egli fa nome è il trisavolo Cacciaguida degli 
	Elisei, fiorentino e cavaliere nella seconda crociata.
	Il nonno paterno di Dante, Bellincione, era un popolano e un popolano sposò 
	la sorella di Dante. Il figlio di Bellincione (e padre di Dante), Aleghiero 
	o Alighiero di Bellincione, svolgeva la professione di cambiavalute, con la 
	quale riuscì a procurare un dignitoso decoro alla numerosa famiglia.
	Grazie alla scoperta di due pergamene conservate nell’Archivio Diocesano di 
	Lucca, però, si viene a sapere che il padre di Dante avrebbe fatto anche 
	l'usuraio, traendo degli arricchimenti tramite la sua posizione di 
	procuratore giudiziale presso il tribunale di Firenze. 
	Era inoltre un guelfo ma senza ambizioni politiche: per questo i ghibellini 
	non lo esiliarono dopo la battaglia di Montaperti come fecero con altri 
	guelfi, giudicandolo un avversario non pericoloso.
	La madre di Dante si chiamava Bella degli Abati, figlia di Durante Scolaro e 
	appartenente a un'importante famiglia ghibellina locale. Il figlio Dante non 
	la citerà mai tra i suoi scritti e di lei possediamo pochissime notizie 
	biografiche. Bella morì quando Dante aveva cinque o sei anni ed il marito 
	Alighiero si risposò quasi subito forse tra il 1275 e il 1278 con Lapa di 
	Chiarissimo Cialuffi. 
	Da questo matrimonio nacquero Francesco e Tana Alighieri detta Gaetana.
	Della formazione di Dante non si conosce molto. Con ogni probabilità seguì 
	l'iter educativo proprio dell'epoca che si basava sulla formazione presso un 
	grammatico con il quale apprendere prima i rudimenti linguistici per poi 
	approdare allo studio delle arti liberali.
	L'educazione ufficiale era poi accompagnata dai contatti "informali" con gli 
	stimoli culturali provenienti ora da altolocati ambienti cittadini
	Dante ebbe la fortuna di incontrare negli anni ottanta, il politico ed 
	erudito fiorentino Ser Brunetto Latini, reduce da un lungo soggiorno in 
	Francia sia come ambasciatore della Repubblica e sia come esiliato politico.
	Dante, all'indomani della morte dell'amata Beatrice, in un periodo che 
	oscilla tra il 1291 e il 1294/1295, cominciò a raffinare la propria cultura 
	filosofica frequentando le scuole organizzate dai domenicani di Santa Maria 
	Novella e dai francescani di Santa Croce.
	Alcuni critici ritengono che Dante abbia soggiornato a Bologna. Anche Giulio 
	Ferroni ritiene certa la presenza di Dante nella città felsinea.
	Ritengono che Dante abbia studiato presso l'Università di Bologna, ma non vi 
	sono prove in proposito.
	Invece è molto probabile che Dante soggiornasse a Bologna tra l'estate del 
	1286 e quella del 1287, dove conobbe Bartolomeo da Bologna, che in parte 
	aderisce all'interpretazione teologica dell'Empireo Dante. Riguardo al 
	soggiorno parigino, ci sono invece parecchi dubbi ma ritengono che Dante 
	possa essersi realmente recato a Parigi tra il 1309 e il 1310.
	Dante ebbe inoltre modo di partecipare alla vivace cultura letteraria 
	ruotante intorno alla lirica volgare. Negli anni sessanta del XIII secolo, 
	in Toscana giunsero i primi influssi della "Scuola siciliana", movimento 
	poetico sorto intorno alla corte di Federico II di Svevia e che rielaborò le 
	tematiche amorose della lirica provenzale. 
	I letterati toscani, subendo gli influssi delle liriche di Giacomo da 
	Lentini e di Guido delle Colonne, svilupparono una lirica orientata sia 
	verso l'amor cortese ma anche verso la politica e l'impegno civile. Guittone 
	d'Arezzo e Bonaggiunta Orbicciani, vale a dire i principali esponenti della 
	cosiddetta scuola siculo-toscana, ebbero un seguace nella figura del 
	fiorentino Chiaro Davanzati, il quale importò il nuovo codice poetico 
	all'interno delle mura della sua città. Fu proprio a Firenze, però, che 
	alcuni giovani poeti (capeggiati dal nobile Guido Cavalcanti) espressero il 
	loro dissenso nei confronti della complessità stilistica e linguistica dei 
	siculo-toscani, propugnando al contrario una lirica più dolce e soave: il 
	dolce stil novo.
	Dante si trovò nel pieno di questo dibattito letterario. Nelle sue prime 
	opere è evidente il legame sia con la poesia toscana di Guittone e di 
	Bonagiunta sia con quella più schiettamente occitana. 
	Il giovane Dante però si legò presto ai dettami della poetica stilnovista, 
	cambiamento favorito dall'amicizia che lo legava al più anziano Cavalcanti.
	Nel 1277, quando Dante aveva dodici anni, fu concordato il suo matrimonio 
	con Gemma, la figlia di Messer Manetto Donati che poi sposò all'età di 
	vent'anni nel 1285. Contrarre matrimoni in età così precoce era abbastanza 
	comune a quell'epoca e lo si faceva con una cerimonia importante e con atti 
	formali sottoscritti davanti a un notaio. 
	La famiglia a cui Gemma apparteneva – i Donati – era una delle più 
	importanti nella Firenze tardo-medievale e in seguito divenne il punto di 
	riferimento per lo schieramento politico opposto a quello del poeta, ovvero 
	i guelfi neri.
	Il matrimonio tra i due non dovette essere molto felice, secondo la 
	tradizione raccolta dal Boccaccio, Dante infatti non scrisse un solo verso 
	alla moglie, mentre di costei non ci sono pervenute notizie sull'effettiva 
	presenza al fianco del marito durante l'esilio. 
	Comunque sia l'unione tra Dante e questa donna, generò due figli e una 
	figlia: Jacopo, Pietro, Antonia e forse un possibile quarto, Giovanni. Dei 
	tre certi, Pietro fu giudice a Verona e l'unico che continuò la stirpe degli 
	Alighieri, Jacopo scelse di seguire la carriera ecclesiastica mentre Antonia 
	divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice sembra nel convento delle 
	Olivetane a Ravenna.
	Poco dopo il matrimonio Dante cominciò a partecipare come cavaliere ad 
	alcune campagne militari che Firenze stava conducendo contro i suoi nemici 
	esterni tra cui ad Arezzo nella battaglia di Campaldino del 1289 e a Pisa 
	nella presa di Caprona dello stesso anno.
	Successivamente, nel 1294, avrebbe fatto parte della delegazione di 
	cavalieri che scortò Carlo Martello d'Angiò, figlio di Carlo II d'Angiò, che 
	si trovava a Firenze. 
	Nel 1293 entrarono in vigore gli Ordinamenti di Giustizia di Giano Della 
	Bella che escludevano l'antica nobiltà dalla politica e permettevano al ceto 
	borghese di ottenere ruoli nella Repubblica purché iscritti a un'Arte. 
	Dante in quanto nobile fu escluso dalla politica cittadina fino al 6 luglio 
	del 1295, quando furono promulgati i "Temperamenti", leggi che ridiedero 
	diritto ai nobili di rivestire ruoli istituzionali, purché si 
	immatricolassero alle Arti. 
	Dante, pertanto, si iscrisse all'Arte dei Medici e Speziali.
	L'esatta serie dei suoi incarichi politici non è conosciuta poiché i verbali 
	delle assemblee sono andati perduti. Comunque tramite altre fonti si è 
	potuta ricostruire buona parte della sua attività: fu nel Consiglio del 
	popolo dal 1295 al 1296; nel gruppo dei "Savi"; nel "Consiglio dei Cento".
	
	Fu inviato poi ogni tanto nella veste di ambasciatore a San Gimignano. 
	Nell'anno 1300 Dante fu eletto uno dei sette priori e nonostante 
	l'appartenenza al partito guelfo, egli cercò sempre di osteggiare le 
	ingerenze del suo acerrimo nemico papa Bonifacio VIII.
	Con l'arrivo del cardinale Matteo d'Acquasparta, Dante riuscì ad ostacolare 
	il suo operato. 
	Sempre durante il suo priorato, Dante approvò il grave provvedimento con cui 
	furono esiliati otto esponenti dei guelfi neri e sette di quelli bianchi 
	compreso Guido Cavalcanti che di lì a poco morirà in Sarzana. 
	Questo provvedimento ebbe serie ripercussioni sugli sviluppi degli eventi 
	futuri: non solo si rivelò una disposizione inutile ma fece rischiare un 
	colpo di Stato da parte dei guelfi neri stessi 
	Il beato papa Boccasini cercò, nel suo breve pontificato, di riportare la 
	pace all'interno di Firenze inviando come paciere il cardinale Niccolò da 
	Prato. 
	Questo risulterà essere l'unico pontefice su cui Dante non proferì alcuna 
	condanna ma neanche verso il quale manifestò pieno apprezzamento, tanto da 
	non comparire nella Commedia.
	Dante si trovava a Roma, trattenuto da Bonifacio VIII, quando Carlo di 
	Valois al primo subbuglio cittadino prese pretesto per mettere a ferro e 
	fuoco Firenze con un colpo di mano. 
	Il 9 novembre 1301 i conquistatori imposero come podestà Cante Gabrielli da 
	Gubbio, il quale apparteneva alla fazione dei guelfi neri della sua città 
	natia e quindi diede inizio a una politica di sistematica persecuzione degli 
	esponenti politici di parte bianca ostili al papa.
	Il poeta fu condannato in contumacia, al rogo e alla distruzione delle case. 
	Da quel momento, Dante non rivide più la sua patria.
	Dopo i falliti tentati colpi di mano del 1302, Dante in qualità di capitano 
	dell'esercito degli esuli, organizzò insieme a Scarpetta Ordelaffi un nuovo 
	tentativo di rientrare a Firenze. 
	L'impresa fu però sfortunata: il podestà di Firenze, Fulcieri da Calboli 
	riuscì ad avere la meglio nella battaglia di Castel Pulciano. 
	Dante, ritenendo corretto aspettare un momento politicamente più favorevole 
	si schierò contro l'ennesima lotta armata, trovandosi in minoranza al punto 
	che i più intransigenti formularono su di lui dei sospetti di tradimento; 
	decise così di non partecipare alla battaglia e di prendere le distanze dal 
	gruppo. 
	Dante fu, dopo la battaglia della Lastra, ospite di diverse corti e famiglie 
	della Romagna, fra cui gli stessi Ordelaffi. Il soggiorno forlivese non durò 
	a lungo, in quanto l'esule si spostò prima a Bologna nel 1305, poi a Padova 
	nel 1306 e infine nella Marca Trevigiana presso Gherardo III da Camino.
	Nel 1307, dopo aver lasciato la Lunigiana, Dante si trasferì nel Casentino, 
	dove fu ospite dei conti Guidi, conti di Battifolle e signori di Poppi 
	presso i quali iniziò a stendere la cantica dell'Inferno.
	Il soggiorno nel casentino durò pochissimo tempo: tra il 1308 e il 1310.
	Dante si trovava a Forlì nel 1310 dove ebbe la notizia della discesa in 
	Italia del nuovo imperatore Arrigo VII. Dante tra il 1308 e il 1311 
	scrivendo il "De Monarchia", manifestò le sue aperte simpatie imperiali 
	scagliando una violenta lettera contro i fiorentini.
	Il sogno dantesco di una Renovatio Imperii si infrangerà il 24 agosto del 
	1313 quando l'imperatore venne a mancare improvvisamente. 
	La morte dell'imperatore diede un colpo mortale ai tentativi del poeta di 
	rientrare definitivamente a Firenze.
	All'indomani della morte improvvisa dell'imperatore, Dante accolse l'invito 
	di Cangrande della Scala a risiedere presso la sua corte di Verona. 
	Quando poi Bartolomeo morì nel 1304, Dante fu costretto a lasciare Verona in 
	quanto il suo successore Alboino non era in buoni rapporti col poeta. 
	Alla morte di Alboino nel 1312, divenne suo successore il fratello Cangrande, 
	amico di Dante, che in virtù di questo legame chiamò a sé l'esule fiorentino 
	e i suoi figli, dando loro sicurezza e protezione dai vari nemici che si 
	erano fatti negli anni. 
	L'amicizia e la stima tra i due uomini fu tale che Dante esaltò, nella 
	cantica del Paradiso – composta per la maggior parte durante il soggiorno 
	veronese –, il suo generoso patrono in un panegirico per bocca dell'avo 
	Cacciaguida.
	Dante, per motivi ancora sconosciuti, si allontanò da Verona per approdare 
	nel 1318 a Ravenna presso la corte di Guido Novello da Polenta. 
	Gli ultimi tre anni di vita trascorsero relativamente tranquilli nella città 
	romagnola, durante i quali Dante creò un cenacolo letterario frequentato dai 
	figli Pietro e Jacopo e da alcuni giovani letterati locali tra i quali 
	Pieraccio Tedaldi e Giovanni Quirini. 
	Per conto del signore di Ravenna svolse occasionali ambascerie politiche 
	come quella che lo condusse a Venezia. 
	L'ambasceria di Dante sortì un buon effetto per la sicurezza di Ravenna ma 
	fu fatale al poeta che di ritorno dalla città lagunare, contrasse la malaria 
	mentre passava dalle paludose Valli di Comacchio. 
	Le febbri portarono velocemente il poeta cinquantaseienne alla morte che 
	avvenne a Ravenna nella notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321. 
	I funerali, eseguiti in pompa magna, furono officiati nella chiesa di San 
	Pier Maggiore oggi San Francesco a Ravenna alla presenza delle massime 
	autorità cittadine e dei figli del poeta. 
	La morte improvvisa di Dante suscitò ampio rammarico nel mondo letterario.
	Dante trovò inizialmente sepoltura in un'urna di marmo posta nella chiesa 
	ove si tennero i funerali. 
	Quando la città di Ravenna passò poi sotto il controllo della Serenissima, 
	il podestà Bernardo Bembo ordinò all'architetto Pietro Lombardi nel 1483 di 
	realizzare un grande monumento che ornasse la tomba del poeta. 
	Ritornata la città agli Stati della Chiesa, i pontifici trascurarono le 
	sorti della tomba di Dante, la quale cadde presto in rovina. 
	Nel corso dei due secoli successivi furono compiuti solo due tentativi per 
	porre rimedio alle disastrose condizioni in cui il sepolcro versava: il 
	primo fu nel 1692, quando il cardinale Domenico Maria Corsi e il prolegato 
	Giovanni Salviati provvidero a restaurarla. 
	Nonostante fossero passati pochi decenni, il monumento funebre fu rovinato a 
	causa del sollevamento del terreno sottostante la chiesa, cosa che spinse il 
	cardinale legato Luigi Valenti Gonzaga a incaricare l'architetto Camillo 
	Morigia nel 1780 di progettare il tempietto neoclassico tuttora visibile.
	I resti mortali di Dante furono oggetto di diatribe tra i ravennati e i 
	fiorentini già dopo qualche decennio la sua morte.
	Se i fiorentini rivendicavano le spoglie in quanto concittadini dello 
	scomparso, i ravennati volevano che rimanessero nel luogo dove il poeta 
	morì, ritenendo che i fiorentini non si meritassero i resti di un uomo che 
	avevano dispregiato in vita. 
	Per sottrarre i resti del poeta a un possibile trafugamento da parte di 
	Firenze, i frati francescani tolsero le ossa dal sepolcro realizzato da 
	Pietro Lombardi nascondendole in un luogo segreto e rendendo poi, di fatto, 
	il monumento del Morigia un cenotafio.
	Quando nel 1810 Napoleone ordinò la soppressione degli ordini religiosi, i 
	frati che di generazione in generazione si erano tramandati il luogo ove si 
	trovavano i resti decisero di nasconderle in una porta murata dell'attiguo 
	oratorio del quadrarco di Braccioforte. 
	Le spoglie rimasero in quel luogo fino al 1865 allorché un muratore intento 
	a restaurare il convento in occasione del VI centenario della nascita del 
	poeta scoprì casualmente sotto una porta murata una piccola cassetta di 
	legno, recante delle iscrizioni in latino a firma di un certo frate Antonio 
	Santi le quali riportavano che nella scatola erano contenute le ossa di 
	Dante. 
	Effettivamente, all'interno della cassetta fu ritrovato uno scheletro 
	pressoché integro.
	Si provvide allora a riaprire l'urna nel tempietto del Morigia che fu 
	trovata vuota fatte salve tre falangi, che risultarono combaciare con i 
	resti rinvenuti sotto la porta murata, certificandone l'effettiva 
	autenticità. 
	La salma fu ricomposta ed esposta per qualche mese in un'urna di cristallo e 
	quindi ritumulata all'interno del tempietto del Morigia in una cassa di noce 
	protetta da un cofano di piombo. 
	Nel sepolcro di Dante, sotto un piccolo altare si trova l'epigrafe in versi 
	latini dettati da Bernardo da Canaccio per volere di Guido Novello ma incisi 
	nel 1357.
	Dante è diventato uno dei simboli dell'Italia nel mondo grazie al nome del 
	principale ente della diffusione della lingua italiana, la Società Dante 
	Alighieri, mentre gli studi critici e filologici sono mantenuti vivi dalla 
	Società dantesca. 
 
	  
  
	